a cura di Vittorio Saccoman
L’importanza di aderire ad un Fondo Pensione è nota a tutti; i continui cambiamenti sulla previdenza pubblica operati dai governi che si sono succeduti, hanno non solo allontanato l’età pensionabile ma hanno reso sempre più striminzito l’assegno che verrà erogato quando si abbandonerà la vita lavorativa per godersi il meritato riposo.
Da qui nasce l’esigenza di aderire ad un Fondo Pensione per incrementare la pensione che verrà erogata dall’INPS e non avere drastici cambiamenti nella vita di tutti i giorni.
Il legislatore nel 2005 ha messo mano alla previdenza complementare riformandola con il D.Lgs. 252 del 2005, spingendo l’adesione ai Fondi Pensione con una serie di vantaggi fiscali, vantaggi rimasti ancora oggi nonostante la riforma della tassazione sui rendimenti dei Fondi Pensione.
I vantaggi per i lavoratori che aderiscono ad un Fondo Pensione, sono molteplici e vanno dalla deduzione fiscale, al contributo del datore di lavoro per i lavoratori dipendenti, alla possibilità di chiedere anticipazioni, alla tassazione più contenuta sui rendimenti rispetto a qualsiasi altra forma di investimento, alla tassazione più favorevole sulle prestazioni; peccato che come spesso accade, il legislatore si sia dimenticato di una parte dei lavoratori, ovvero i lavoratori pubblici, dove l’adesione ad un Fondo Pensione Negoziale segue regole e trattamenti fiscali diversi in quanto si applica il decreto legislativo 124 del 93 che risulta essere fiscalmente penalizzante rispetto al D.Lgs. 252 che ha rivisitato la previdenza complementare.
Andiamo ad analizzare alcuni aspetti di diversità dei due decreti, per evidenziare le penalizzazioni che i dipendenti pubblici subiscono aderendo ad un Fondo Pensione Negoziale.
Per i dipendenti pubblici Il limite di deducibilità corrisponde al minor importo tra il doppio del TFR destinato al Fondo Pensione nell’anno, il 12% del reddito complessivo annuo e l’importo pari a 5.164,57 euro.
Per i dipendenti privati che aderiscono ad un Fondo Pensione Negoziale il limite di deducibilità è pari a 5.164,57 euro, le stesse regole si applicano anche ai Fondi Pensione aperti e ai PIP (Piani Individuali di Previdenza).
Le penalizzazioni non finiscono qui, continuano con il regime fiscale delle prestazioni; i dipendenti pubblici per le prestazioni in rendita pagano una tassazione ordinaria (dal 27 al 43%), per le prestazioni in capitale e per il riscatto una tassazione separata, con una aliquota media quinquennale (ultimi 5 anni) che non può essere inferiore al 23%.
Per i dipendenti privati, le prestazioni in capitale, in rendita e per il riscatto sono assoggettate ad imposta sostitutiva del 15%, ridotta di uno 0,30% per ogni anno eccedente il 15 di partecipazione, fino ad un massimo di 6 punti percentuali. Stesse regole anche per i Fondi Pensioni aperti e i PIP.
Altre differenze riguardano la premorienza, con regole differenti per la scelta degli eredi e del beneficiario.
Risultano evidenti le penalizzazioni che i dipendenti pubblici subiscono aderendo ad un Fondo Pensione Negoziale, ed è anche per questo motivo che i Fondi Pensioni dei comparti pubblici stentano a decollare.
Ci si chiede come mai lo Stato che ha favorito la nascita della Previdenza complementare per integrare il suo assegno pensionistico, continui a penalizzare in questo modo i suoi dipendenti, creando di fatto lavoratori di serie A e lavoratori di serie B.
L’auspicio è che anche i dipendenti pubblici possano avere gli stessi diritti e gli stessi vantaggi dei dipendenti privati, applicando le stesse regole del decreto legislativo 252, in modo da eliminare definitivamente le disuguaglianze tra i 2 settori.