“Dobbiamo abituarci all’idea: ai più importanti bivi della vita, non c’è segnaletica” (Ernst Hemingway, 1899-1961)
Parte II
La crisi finanziaria del 2008, rappresenta l’inizio di un’epoca che Alan Greenspan, (predecessore di Bernake alla guida della Federal Reserve), definì “l’era della turbolenza”. Un contesto in cui diventa imperativo agire con la consapevolezza di dover gestire il rischio, l’incertezza, la probabilità delle perdite, prima di concentrarsi sui possibili guadagni: guardare al mondo degli investimenti attraverso la lente dell’analisi dei rischi, prima ancora di ricercare le opportunità di profitto.
Da qui la necessità di costruire un nuovo approccio all’investimento, un modus operandi in grado di coniugare due grandi bisogni: 1) poter utilizzare le risorse finanziarie accumulate a fini di risparmio (risorse private), per alimentare un circolo virtuoso capace di stimolare e sviluppare l’economia reale; 2) conseguire rendimenti adeguati agli obiettivi di lungo termine, attraverso una gestione degli investimenti che sia strutturalmente protetta dal rischio di subire gravi perdite e dall’impossibilità di liquidare gli investimenti durante i periodi di stress sui mercati finanziari.
Questi bisogni ci riportano quindi al tema originale: come utilizzare il mercato dei capitali per rafforzare il mercato del lavoro, dare spazio ed opportunità ai giovani, favorire gli imprenditori e portare serenità ai pensionati? Per far questo serve uscire dagli schemi tradizionali, studiare nuove forme di utilizzo dei capitali, essere pronti a sostenere l’innovazione, immaginare nuove soluzioni: qui entrano in gioco gli Investimenti alternativi. Vediamo il perché.
Come abbiamo evidenziato nella prima parte dell’intervento, l’universo degli Investimenti alternativi comprende una serie di “soluzioni macro”, classificabili in funzione della tipologia e durata degli investimenti, della correlazione con i mercati e della liquidabilità dei medesimi.
Se ci concentriamo sulla tipologia di investimenti a basso livello di liquidabilità (non vendibili in tempi brevi) ed aventi un orizzonte di investimento di lungo periodo (10-15 anni), ci troviamo automaticamente di fronte a quella tipologia di investimenti strettamente riconducibili all’economia reale.
Il comparto Immobiliare (Real Estate), delle Infrastrutture e del Private Equity/Venture Capital, condividono infatti un base di partenza che, salvo modalità d’implementazione a fini puramente speculativi (leveraged buy-outs, acquisizioni ostili tramite junk bonds, operazioni di finanza immobiliare, finanziamenti di progetti privi di utilità sociale/pubblica), si pone come finalità quella di finanziare progetti di sviluppo di attività economiche reali. In tal senso, il Venture Capital, gli strumenti di Private Equity & Private Debt e l’investimento in progetti Immobiliari, rappresentano il canale trasmissivo più diretto tra capitali finanziari ed economia reale.
Le forme di finanziamento in nuovi progetti (start-up) e in aziende non quotate (prevalentemente Pmi), tramite partecipazione diretta nel capitale azionario (private equity) e/o a fronte di emissione di strumenti di debito (private debt), sono infatti tra le forme più efficienti di finanziamento alle attività imprenditoriali in cerca di capitali per avviare l’attività o farla crescere. In questo caso, i capitali vanno direttamente a supporto dell’economia reale, che trae beneficio sia dalle opportunità lavorative (aumento dell’occupazione), sia dall’incremento di contributi fiscali a loro volta destinabili alla spesa pubblica, quindi ad un miglioramento dei servizi necessari alla collettività. Stesso dicasi per gli investimenti immobiliari mirati alla riqualificazione di are urbane (creazione di nuovi poli residenziali e commerciali) e/o alla valorizzazione di territori sottosviluppati (strutture per il turismo, aree ad elevato contenuto tecnologico, strutture a basso impatto ambientale, etc.): attraverso la valorizzazione di un’area, si migliora il contesto domestico e lavorativo, creando una condizione di maggiore benessere (quindi d’incentivo) per chi vive e produce entro i confini nazionali.
Anche l’investimento in infrastrutture rappresenta una forma diretta di supporto all’economia, con la differenza che spesso si tratta di progetti di maggiori dimensione, più costosi, più lunghi e anche maggiormente indirizzati alla pubblica utilità. Ponti, autostrade, reti elettriche ed idriche, aeroporti, stazioni marittime: opere che richiedono grandi capitali e solitamente l’intervento del denaro pubblico. In tal senso, l’investimento di capitali privati produce quattro immediati benefici per la collettività: uno sgravio di spesa per lo la finanzia pubblica (indispensabile per contenere il debito pubblico); l’aumento di concorrenza tra le società appaltatrici e quindi un costo medio dei progetti più basso (ulteriore sgravio per i conti dello Stato); un coinvolgimento marginale del sistema bancario, quindi minore dipendenza dai canali di finanziamento connessi ai mercati finanziari; un sistema di appalti più trasparente, efficiente e meritocratico.
Spostandoci invece nel mondo delle Commodities e degli Hedge Funds, ci si allontana dal collegamento diretto con l’economia reale (FIG. 4) e si entra nel mondo degli investimenti che hanno come principale piazza di scambio quello dei mercati finanziari.
L’investimento in Commodities, rappresenta bene la “zona mista” tra investimenti in beni reali e strumenti finanziari. La finalità d’investimento determina il confine tra lo scopo “reale” e quello puramente speculativo: mentre un investimento in metalli, beni agricoli, risorse energetiche può avere quale fine primario quello di un utilizzo delle materie prime a scopo produttivo, l’investimento tramite strumenti derivati porta con sé una finalità quasi esclusivamente di carattere finanziario (compravendita di contratti futures per proteggersi dalla fluttuazione dei prezzi, piuttosto che per trarre profitto dalla variazione dei medesimi al rialzo o al ribasso). Dal momento che il contesto che stiamo considerando parte dall’ipotesi di investimento di capitali di risparmio privato, è corretto analizzare l’aspetto finanziario dell’investimento in commodities: in tal senso si evidenzia facilmente come l’asset class consenta di implementare gestioni di portafoglio in grado di beneficiare da un lato dell’elemento di protezione che le commodities offrono in un contesto di aumento dell’inflazione (aumento del prezzo dei paniere di beni, quindi delle materie prime), dall’altro della possibilità di decorrelare i rendimenti di portafoglio dalle asset class tradizionali quali mercati azionari e obbligazionari (l’oro e in generale i metalli preziosi, sono un bene rifugio durante i periodi di panico sui mercati e di rischio sistemico. Esempio: le tensioni sull’Euro nel 2011-2012). Inoltre, dato il loro profilo di elevata liquidabilità, le commodities sono facilmente vendibili anche durante i periodi di stress sui mercati finanziari.
Diverso il discorso per gli Hedge Funds: la varietà, complessità, numerosità dei gestori è tale da rendere difficile una classificazione esaustiva. Se si guarda alle strategie più illiquide, che richiedono orizzonti d’investimento superiori ai 6-12 mesi, ci si avvicina al mondo dei finanziamenti che incorporano finalità d’investimento più legate allo specifico caso aziendale che ai mercati finanziari: l’investimento in asset backed securities (mutui immobiliari, cartolarizzazione di prestiti per beni fisici), nel debito di società in fase di ristrutturazione, in azioni di piccole ditte con elevato potenziale di sviluppo (biotecnologie, nanotecnologie, etc.), non sono paragonabili al private equity o al private debt, ma di fatto costituiscono un elemento fondamentale per dare la liquidità necessaria a progetti e imprese che si trovano in una fase decisiva (positiva o negativa) del loro ciclo di vita. Laddove non arriva il credito bancario (i provvedimenti introdotti da Basilea III normativo internazionale, renderanno ancora più difficile l’erogazione di denaro da parte delle banche per finalità considerate “a rischio di insolvenza”), interviene l’investimento professionale privato.
Cambia ancora il modo di vedere gli Hedge Funds se ci si sposta sugli strumenti più liquidi (titoli quotati e strumenti derivati) e con un orizzonte temporale più ristretto (settimana, mese): qui l’universo esplode e i parametri di differenziazione tra gestori e strategie sono centinaia.
Ciò che invece hanno in comunque tutti gli hedge funds sono due elementi basilari: un obiettivo di rischio/rendimento predeterminato ed una modalità di gestione finalizzata ad un livello di decorrelazione dai mercati più o meno marcata. A tale fine, le strategie incorporano nell’attività che precede l’investimento una valutazione statistica, fondamentale o tecnica del premio per il rischio: da qui la definizione di “gestioni attive del rischio”, aventi come obiettivo quello di controllare la variabilità dei rendimenti attesi (volatilità). Grazie a questo approccio, tali strategie sono molto efficaci durante i periodi di elevata incertezza sui mercati finanziari: di fatto, uno strumento che diventa prezioso se si pensa al contesto attuale e prospettico.
Una volta compresi gli elementi di base, appare evidente come gli Investimenti alternativi rappresentino un universo molto vasto e variegato: da gestioni in strumenti quotati e con un grado di liquidabilità medio – alto (commodities ed hedge funds), a fondi chiusi che investono in progetti e beni reali (real estate, private equity, infrastrutture).
Ci troviamo quindi di fronte a soluzioni d’investimento con un elevato grado di specializzazione e processi di investimento molto articolati: quali sono quindi i rischi associati a questi strumenti? Come fare a gestirli? Come evolverà l’industria degli Investimenti alternativi? Cercheremo di analizzare questi temi, nella terza parte dell’intervento.
Massimo Maurelli
Managing Partner Mathema Advisors srl
Articolo pubblicato su previnforma.it
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