“Si può ignorare la realtà, ma non si possono ignorare le conseguenze dell’ignorare la realtà”. (Ayn Rand, 1905-1982)

Parte I

Quale può essere il valore economico e sociale legato alla perdita di un’opportunità? L’istinto e l’abitudine portano l’essere umano a registrare nella propria mente vittorie e sconfitte, gioie e dolori, profitti e perdite: noi memorizziamo tutto ciò che ci accade nel corso della vita. Ma la valutazione di un mancato guadagno o di una perdita non subita, così come un successo o un fallimento mai conseguiti, difficilmente rimangono impressi nei registri della nostra memoria: al più rimane un velato senso di rimpianto che nel tempo, può trasformarsi nel rimorso per non aver fatto una scelta differente.

Guardando alle problematiche economiche, finanziarie e sociali dei Paesi periferici dell’Area Euro, è probabile che il rimorso per le tante decisioni mai prese nel recente passato sia oggi uno dei sentimenti più diffusi tra la popolazione. Primo fra tutti, il rammarico di non aver voluto affrontare per tempo una realtà che si stava progressivamente materializzando e che richiedeva cambiamenti culturali e strutturali per lungo tempo rimandati: la nascita e lo sviluppo di un sistema economico globale, un mercato non più dominato dall’ lígoi -pólion di Europa, Giappone e Stati Uniti, ma un sistema di scambio accessibile a tutti i Paesi e Continenti, dalla Cina al Brasile, passando per India, Russia e Sudafrica (i Brics).

Oggi questi cambiamenti sono una necessità di cui sono consapevoli milioni di famiglie: la crisi finanziaria del 2008, è stata il campanello che ha posto fine alla ricreazione collettiva di tutti coloro i quali hanno nascosto debolezze e incapacità dietro a grattacieli di debiti, velocemente innalzati da un sistema bancario pronto a sfruttare al meglio l’opportunità offerta dall’introduzione dell’Euro: la nuova benzina raffinata dalla Banca centrale europea, che ha sostituito i carburanti dei singoli paesi (Lira, Franco, Marco tedesco, Peseta, Dracma ecc.), rendendo gli scambi più veloci, economici ed efficienti.

Se quindi non si possono ignorare le conseguenze dell’ignorare la realtà, quale potrebbe essere il valore economico e sociale di una scelta sbagliata fatta oggi, di una decisione rimandata, di un’opportunità persa?

Oggi non c’è più tempo per fermarsi a osservare le dinamiche della globalizzazione: è necessario accettare subito la sfida e comprendere quali possano essere gli strumenti per cogliere al meglio le straordinarie opportunità offerte dal cambiamento. E per quanto impopolare, pestilenziale, cinico ed egoistico sia il mondo finanziario, esso rappresenta ancora oggi il sistema di alimentazione che fornisce combustibile alla macchina economica dei nostri giorni: se così non fosse, il termine spread sarebbe ancora un verbo della lingua inglese praticamente sconosciuto a italiani e spagnoli, così come le riunioni delle Banche Centrali avrebbero sui quotidiani lo stesso spazio dedicato alla pagina del taglio e cucito.

In tal senso, si deve riformulare la domanda precedente, chiedendosi quale potrebbe essere il costo economico e sociale derivante dall’incapacità di cogliere le opportunità rese accessibili dal sistema finanziario.

È possibile utilizzare il mercato dei capitali per riparare ai danni provocati al mercato del lavoro, per ridare speranza ai giovani, entusiasmo agli imprenditori, serenità ai pensionati?

Certamente sì, ma a patto di avere la capacità e la volontà di uscire dagli schemi tradizionali, studiare nuove forme di utilizzo dei capitali, essere pronti a sostenere l’innovazione, immaginare nuove soluzioni guardando però alle origini: rammentando che un’azienda intenzionata ad accedere al mercato dei capitali, deve avere progetti di crescita, piani di investimento, programmi di assunzione e percorsi di sviluppo per i suoi collaboratori.

In questo contesto, all’interno della cornice che orla la fotografia di una realtà economica e sociale bisognosa di cambiamenti, va analizzata l’opportunità offerta dall’avvento della Direttiva europea sugli investimenti alternativi (Alternative Investment Fund Manager Directiv, Aifmd – figura 1). Un evento che di per sé può sembrare di poco conto, ma in realtà porta una vera e propria rivoluzione nel mondo degli investimenti, trasformando in autostrada il sentiero che collega il mondo dei capitali finanziari con l’economia reale.

Tre sono le colonne portanti dello schema normativo entrato in vigore il 23 luglio 2013 e che dovrà essere adottato da tutti gli Stati membri, entro il 22 luglio 2014:

– il riconoscimento univoco della categoria Investimenti alternativi;

l’armonizzazione delle regole a livello europeo;

la tutela legale ed amministrativa per gli investitori.

Seppur banale, la definizione di una classe di attività finanziarie sotto un unico cappello e la conseguente distinzione dalle altre attività di investimento (normativa Ucits), rappresenta il punto di svolta nell’allocazione mentale e di portafoglio degli investitori. Oggi non esiste più il metodo soggettivo di definire gli Investimenti alternativi, né la facoltà di categorizzare indistintamente qualunque investimento complesso con il bollino rosso che certifica un rischio elevato.

Dal luglio 2013, viene stabilito che Fondi di Private Equity, Fondi di Venture Capital, Hedge Funds, Fondi immobiliari e Fondi di infrastrutture autorizzati ad operare all’interno dei confini dell’Unione Europea, rientrano sotto la categoria dei Fondi alternativi. Per questo i gestori autorizzati godranno di un “passaporto europeo” che tra le altre cose, consente la commercializzazione nei diversi Stati membri senza la necessità di un’autorizzazione locale. A tale fine, le norme di controllo e vigilanza devono essere applicate indistintamente, garantendo eguale tutela agli investitori: obbligo di autorizzazione e supervisione da parte di un’autorità di vigilanza europea, obbligo di una banca depositaria anch’essa regolamentata entro i confini dell’Unione, obbligo di una valorizzazione degli investimenti da parte di un soggetto terzo esterno alla società di gestione. In breve: un impianto di garanzie solido ed omogeneo per tutti i risparmiatori, che non dovranno più preoccuparsi di verificare la custodia dei loro investimenti, né di doversi rivolgere a soggetti extra-europei per qualsivoglia controversia di tipo normativo, amministrativo o fiscale.

Da qui nasce la prima grande opportunità: la realizzazione di un contesto strutturato, in grado di favorire l’investimento da parte dei soggetti istituzionali, necessariamente limitati nelle propria operatività rispetto ai gestori di capitali privati (family office, private banking). Grazie all’avvento della Direttiva, l’accessibilità agli strumenti viene portata allo stesso livello di quelli tradizionali/Ucits: non costituisce più un limite all’utilizzo d’Investimenti alternativi (figura 2). Ne consegue nell’immediato una serie di effetti virtuosi a catena: la struttura su cui poggia la normativa rende di fatto accessibile ai grandi capitali un mercato d’investimenti che era riservato ad un numero limitato di soggetti. Con l’ingresso in campo delle risorse finanziarie gestite dagli investitori istituzionali, si determina un aumento della concorrenza sul lato dell’offerta (allargando il bacino di clienti, automaticamente anche i gestori più piccoli possono permettersi d’investire in strutture più solide e meglio organizzate), e la nascita di un flusso informativo più ampio e costante: aumenteranno i fornitori di servizi, i consulenti, l’interesse dei media, il numero di convegni, delle conferenze e degli eventi didattici.

Gli Investimenti alternativi usciranno così dall’ombra, dissipando quella nebbia di pregiudizi e sospetti, frutto della mancanza di conoscenza ed esperienza nella materia.

Resta infatti la scarsa conoscenza quale limite concreto all’utilizzo di Investimenti alternativi (Figura 2): se da un lato la Aifmd consente di superare  la barriera posta dalla accessibilità degli strumenti grazie al requisito di un passaporto europeo, rimangono le difficoltà legate alla varietà e complessità gestionale di questi strumenti d’investimento. Tolte le restrizioni e i confini delimitati dalle normative Ucits e dalle classificazioni di uso comune (fondi azionari, obbligazionari, bilanciati, utilizzo del benchmark, obbligo di quotazione degli strumenti e valorizzazione su base giornaliera/settimanale) si entra infatti in un universo infinitamente più vasto di quello delle gestioni tradizionali: queste rappresentano infatti solamente un sottoinsieme della possibilità di investimento finanziario disponibili.

Da qui nasce il problema: come orientarsi nella galassia degli Investimenti Alternativi? Quali i criteri di scelta rispetto alle esigenze di investimento? Quali i legami con l’economia reale e quali i punti comuni con i mercati finanziari?

Cerchermo di analizzare questi temi, nella seconda parte di questo intervento.

 

Massimo Maurelli
Managing Partner Mathema Advisors srl

Articolo pubblicato su previnforma.it

 

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