di Pasquale Sandulli

pasquale sandulliIl ddl sulla concorrenza (CdM 20/02/15) impatta anche sui fondi pensione, ma dall’interno: sotto unico titolo «Portabilità dei fondi pensione» si annunciano varie novità. Senza soffermarsi troppo sulla sciatteria redazionale

[nella lettera a) ci si riferisce a soggetti aderenti ad una o più categorie piuttosto che a soggetti appartenenti; nella lettera d) si fanno cadere i possibili limiti alla mobilità attraverso clausole interdittive del trascinamento dei contributi datoriali, dimenticando – se di questo si tratta – di caducare i corrispondenti limiti di cui all’art. 8, c. 10, per la prima scelta], va dato atto della piena discrezionalità del legislatore. Così, in tema di mobilità si raddrizzerebbero talune storture della normativa delegata proprio alla piena facoltà di migrazione su cui si basava la delega originaria: pareri autorevoli contro tali limitazioni a fronte di una estenuante negoziazione dell’estate/autunno 2005, che portò al ritardo nell’emanazione del decreto, rimediato alla meno peggio nel dicembre successivo. L’ampliamento da cinque a dieci anni del presupposto del riscatto per inoccupazione (non più oltre 48, ma) per soli oltre 24 mesi costituisce una utile risposta alla esigenza di adeguamento del sistema prestazionale di secondo livello, potenziando così la componente previdenziale di sostegno al reddito. Ad una generica finalità di alleggerimento del carico fiscale, prescindendo dalla modalità (collettiva o individuale) di partecipazione risponde la lettera c). Provvedimenti, dunque, in linea di continuità con il sistema.

Una scelta di rottura si consumerebbe invece con la lettera a), che con forte ambiguità si maschera sotto un titolo deviante. Non è certo casuale la tecnica novellatrice, con l’inserzione di un comma del tutto nuovo nell’ambito dell’articolo destinato alla elencazione delle fonti istitutive: un nuovo comma 3 bis.

La tentazione di aprire i fondi negoziali al di fuori dell’ambito fisiologico in ragione della loro origine contrattuale collettiva era stata già caldeggiata in sede Covip, ma l’ipotesi era stata respinta, in considerazione della evidente incongruenza rispetto all’impianto dato. Orbene, anche apprezzando l’obiettivo forse inconsapevole di contrastare la frammentazione dei Fondi, vecchi e nuovi, si sa che il legislatore facit de albo nigrum; ma occorrerà che le sue scelte siano coerenti: assumendosi, in omaggio al valore della concorrenza, la facoltà di dilatazione del fondo pensione negoziale oltre i suoi naturali confini, dovrà darsi soluzione a tutta una serie di effetti a cascata: nel sistema, il fondo negoziale che decida di allargarsi assumerà la configurazione di fondo aperto, e dunque dovrà stare alle diverse regole di accesso al mercato, a cominciare da quelle che presiedono la raccolta delle adesioni. Vero è che il d.lgs. 252/2005 si è distinto, sotto questo aspetto, per una tendenziale amalgamazione dei comportamenti in questa fase – di ciò è conferma la unitaria regolamentazione della materia del 29 maggio 2008 –, ma elementi distintivi importanti sono presenti proprio in questo regolamento (art. 8 per i fondi negoziali ed art. 9 per i fondi aperti). Sarà eventualmente compito della Covip rendere ancora più omogenee le disposizioni, ma certo sarà difficile immaginare la costituzione in una rete di collocatori di estrazione sindacale, se veramente si vuole dare respiro alla programmata norma, e non se ne voglia fare solo una bandiera. Più delicato e complesso, probabilmente al di fuori della competenza di Covip, potrà risultare l’assetto di governance dei fondi «negoziali aperti»: potrebbe essere necessario cambiare l’impianto della bilateralità e pariteticità circoscritta alla categoria, in caso di massicce adesioni individuali? Ed in caso di adesioni collettive, basterà ampliare la formula degli organismi di sorveglianza (attuale art. 5, c. 4). Sia consentito dunque un invito alla seria riflessione dei problemi che potrebbero nascere in un segmento dell’economia italiana non molto fortunato e dalla vita travagliata.